La lucha sigue! Sa luta sighit!
Dal 23 al 28 ottobre. Per tessere trame di solidarietà. Per condividere i percorsi di lotta. Per parlare e per ascoltare. Per la vita.
𝗘’ 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮𝘁𝗮 𝗹’𝗜𝗻𝘃𝗮𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗭𝗮𝗽𝗮𝘁𝗶𝘀𝘁𝗮
𝓐𝓼𝓹𝓮𝓽𝓽𝓪𝓷𝓭𝓸 𝓵𝓪 𝓖𝓲𝓻𝓪 𝓩𝓪𝓹𝓪𝓽𝓲𝓼𝓽𝓪 …
𝓜𝓸𝓼𝓽𝓻𝓪 “𝓢𝓽𝓸𝓻𝓲𝓮 𝓭’𝓪𝓶𝓸𝓻𝓮, 𝓿𝓮𝓷𝓭𝓮𝓽𝓽𝓪 𝓮 𝓻𝓲𝓿𝓸𝓵𝓾𝔃𝓲𝓸𝓷𝓮”
Nell’ambito delle numerose iniziative dedicate alla raccolta fondi rivolta alla Gira Zapista, l’assemblea di sassari del Coordinamento presenta la straordinaria mostra “Storie d’amore, vendetta e rivoluzione”, personale dell’artista Zuanna Maria Boscani, artista politica, che raccoglie , iconografie, biografie e storie esemplari di donne rivoluzionarie, della storia sarda e mondiale. Tra queste la Comandanta Ramona.
L’inaugurazione si terrà venerdì 9 luglio alle h 19:30 presso la sede di Sa Domo de Totus, in Via Frigaglia 14B alla presenza dell’artista.
La mostra e la campagna di autofinanziamento continueranno tutti i giorni da venerdí 9 luglio fino a sabato 17 luglio dalle 19:30 alle 21:30.
Parlano di noi …
Desinformémonos è un progetto di comunicazione autonoma, libera e indipendente, fondato da un gruppo di giornalisti, persone dei movimenti sociali, intellettuali e accdemici, uomini e donne di varie generazioni che cercano di costruire spazi dei espressione in e dal Messico, dove ha base la sede. Il consiglio editoriale ha però anche sedi in Argentina, Brasile, Francia, Spagna, Italia e Germania; collaboratori in Bolivia, Uruguai, Cile, Venezuela, Colombia, Bergio, Grecia, Giappone, Turchia, Palesina, India, Ucrania, Vietnam…e altri angoli del mondo.
Ci hanno intervistato, e il 31 maggio 2021 è uscito un articolo che parla della storia e delle lotte sarde.
Buona lettura!
Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?
Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?
Giugno 2021
Una precisazione: molte volte, quando usiamo il termine «los zapatistas – gli zapatisti» – non ci riferiamo agli uomini ma ai popoli zapatisti. E quando usiamo «las zapatistas» – le zapatiste – non definiamo le donne, ma le comunità zapatiste. Dunque, troverai questo «salto» di genere nelle nostre parole. Quando ci riferiamo al genere, aggiungiamo sempre «otroa» per indicare l’esistenza e la lotta di coloro che non sono né uomini né donne (e che la nostra ignoranza in materia ci impedisce di definire – ma impareremo a nominare tutte le differenze -).
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Ora, la prima cosa che devi sapere o capire è che noi zapatisti quando facciamo qualcosa, per prima cosa ci prepariamo al peggio. Partiamo da un finale di fallimento e, in senso opposto, ci prepariamo ad affrontarlo o, nel migliore dei casi, ad evitarlo.
Ad esempio, immaginiamo di essere attaccati, i massacri di rigore, il genocidio travestito da moderna civilizzazione, lo sterminio totale. E ci prepariamo a queste possibilità. Ebbene, per il 1° gennaio 1994 non immaginammo la sconfitta, la prendemmo come una certezza.
Ad ogni modo, forse questo ti aiuterà a capire perché inizialmente eravamo stupiti, titubanti e confusi nell’improvvisare quando, dopo tanto tempo, lavoro e preparazione alla rovina, ci siamo ritrovati… vivi.
È da questo scetticismo che nascono le nostre iniziative. Alcune piccole, altre più grandi, tutte un delirio; le nostre convocazioni sono sempre rivolte «all’altro», a ciò che va molto oltre il nostro orizzonte quotidiano, ma che riteniamo qualcosa di necessario nella lotta per la vita, cioè nella lotta per l’umanità.
Con questa iniziativa o scommessa o delirio o follia, per esempio, nella sua versione marittima ci siamo preparati al Kraken, ad una tempesta o una balena bianca che avrebbe fatto naufragare l’imbarcazione, ecco perché abbiamo costruito i cayucos – che hanno viaggiato con lo Squadrone 421 su La Montaña fino a Vigo, Galizia, Stato Spagnolo, Europa -.
Ci siamo preparati anche a non essere i benvenuti, per questo prima abbiamo chiesto il consenso per l’invasione, cioè la visita… Beh, di essere i «benvenuti» non siamo ancora del tutto sicuri. Per più di una, uno, unoa, la nostra presenza è a dir poco inquietante, quando non francamente dirompente. E lo capiamo, può darsi che qualcuno, dopo più di un anno di confinamento, trovi quantomeno inopportuno che un gruppo di indigeni di radice maya, molto poca cosa in quanto a produttori e consumatori di merci (elettorali e non), voglia parlare di persona. Di persona! (ricordi che questo prima faceva parte della tua quotidianità?). E, che inoltre, abbia come missione principale quella di ascoltarti, riempirti di domande, condividere incubi e, naturalmente, sogni.
Ci siamo preparati che i malgoverni, da una parte e dall’altra, impediscano o ostacolino la nostra partenza e il nostro arrivo, per questo alcun@ zapatisti erano già in Europa… Opps, non avrei dovuto scriverlo, cancellatelo. Sappiamo che il governo messicano non porrà ostacoli. Resta da vedere cosa diranno e faranno gli altri governi europei – Portogallo e Stato Spagnolo non si sono opposti -.
Ci siamo preparati al fallimento della missione, cioè che diventi un evento mediatico e, quindi, fugace e irrilevante. Per questo accettiamo anzitutto gli inviti di chi vuole ascoltare e parlare, cioè conversare. Perché il nostro obiettivo principale non sono gli eventi di massa – anche se non li escludiamo -, ma lo scambio di storie, conoscenze, sentimenti, valutazioni, sfide, fallimenti e successi.
Ci siamo preparati alla caduta dell’aereo, motivo per cui abbiamo realizzato dei paracadute con ricami colorati affinché invece di un «D-Day» in Normandia (oh, oh, questo significa che lo sbarco aereo sarebbe in Francia?… eh?… a Parigi?!), sia un «Z-Day» per l’Europa del basso, e sembrerà allora che dal cielo piovano fiori come se Ixchel, dea madre, dea arcobaleno, ci accompagni e, con la sua mano e con il suo volo, apra un secondo fronte all’invasione. E più sicuro perché ora, grazie alla Galizia del basso, lo Squadrone 421 è riuscito a installare una testa di ponte nelle terre di Breogán.
In breve, ci prepariamo sempre a fallire… e a morire. Ecco perché la vita, per lo zapatismo, è una sorpresa che va celebrata tutti i giorni, a tutte le ore. E cosa altro c’è di meglio se non con balli, musica, arti.
In tutti questi anni abbiamo imparato molte cose. Forse la cosa più importante è rendersi conto di quanto siamo piccoli. E non intendo altezza e peso, ma la dimensione del nostro impegno. I contatti con persone, gruppi, collettivi, movimenti e organizzazioni di diverse parti del pianeta ci hanno mostrato un mondo diverso, molteplice e complesso. Ciò ha rafforzato la nostra convinzione che ogni proposta di egemonia e di omogeneità non solo è impossibile, ma è soprattutto criminale.
Perché i tentativi – non di rado nascosti dietro nazionalismi di cartapesta nelle vetrine dei centri commerciali della politica elettorale – di imporre modi e sguardi sono criminali perché cercano di sterminare differenze di ogni genere.
L’altro è il nemico: differenza di genere, razza, identità sessuale o asessuale, lingua, colore della pelle, cultura, credo o miscredenza, concezione del mondo, fisico, stereotipo di bellezza, storia. Contando tutti i mondi che ci sono nel mondo, ci sono praticamente tanti nemici, reali o potenziali, quanti sono gli esseri umani.
E potremmo dire che quasi ogni dichiarazione di identità è una dichiarazione di guerra contro il diverso. Ho detto «quasi» e, in quanto zapatisti, ci aggrappiamo a questo «quasi».
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Secondo le nostre modalità, i nostri calendari e la nostra geografia, siamo giunti alla conclusione che l’incubo può sempre peggiorare. La pandemia di «Coronavirus» non è l’apocalisse. È solo il suo preludio. Se i media e i social volevano rassicurarci, prima, “informando” sull’estinzione di un ghiacciaio, un terremoto, uno tsunami, una guerra in qualche parte lontana del pianeta, l’omicidio di un altro indigeno da parte dei paramilitari, una nuova aggressione contro la Palestina o il popolo mapuche, la brutalità del governo in Colombia e Nicaragua, le immagini dei campi di detenzione per migranti che vengono da un altro luogo, da un altro continente, da un altro mondo, convincendoci così che questo “succede da un’altra parte”, in poche settimane, la pandemia ha dimostrato che il mondo può essere solo una piccola parrocchia egoista, sciocca e vulnerabile. I diversi governi nazionali sono le cosche che vogliono controllare, con la violenza “legale”, una strada o un quartiere, ma il “capo” che controlla tutto è il capitale.
Ad ogni modo, si sta preparando il peggio. Ma questo lo sapevi già, vero? E se no, allora è ora che tu lo sappia. Perché, oltre a cercare di convincerti che sofferenze e disgrazie saranno sempre estranee (fino a quando non smettono di essere tali e si siedono alla tua tavola, turbandoti il sonno e lasciandoti senza lacrime), ti dicono che il modo migliore per affrontare queste minacce è individualmente.
Questo male si evita allontanandosi da esso, costruendo il tuo mondo a tenuta stagna e rendendolo sempre più angusto fino a che c’è spazio solo per “io, mio, me, con me”. E per questo, ti offrono “nemici” a modo, sempre con un fianco debole e che è possibile sconfiggere acquistando, ascolta bene, questo prodotto che, guarda che coincidenza, per questa unica occasione in offerta e puoi acquistarlo e riceverlo sulla porta del tuo bunker in poche ore, giorni … o settimane, perché la macchina ha scoperto, oh sorpresa, che il reddito dipende anche dalla circolazione della merce e che, se questo processo si ferma o rallenta, la bestia soffre… cosicché è business anche la sua distribuzione e ripartizione.
Ma, in quanto zapatisti, abbiamo studiato e analizzato. E vogliamo confrontare le conclusioni a cui siamo giunti con scienziati, artisti, filosofi e analisti critici di tutto il mondo.
Ma non solo, anche e soprattutto con coloro che, nelle loro lotte quotidiane, hanno subito e avvertito le disgrazie a venire. Perché, per quanto riguarda il sociale, teniamo in grande considerazione l’analisi e la valutazione di chi rischia la pelle nella lotta contro la macchina, e siamo scettici nei confronti di chi, dal punto di vista esterno, opina, valuta, consiglia, giudica e condanna o assolve.
Ma, attenzione, riteniamo che questo sguardo critico “outsider” sia necessario e vitale, perché ci permette di vedere cose che non si vedono nel vivo della lotta e, attenzione, contribuisce alla conoscenza della genealogia della bestia, delle sue trasformazioni e del suo funzionamento.
In ogni caso, vogliamo parlare e, soprattutto, ascoltare chi si mette in mezzo. E non ci interessa il suo colore, taglia, razza, sesso, religione, militanza politica o percorso ideologico, se questo coincide con il ritratto fedele della macchina assassina.
E se, quando parliamo del criminale, qualcuno lo identifica con il fato, la sfortuna, «l’ordine naturale delle cose», il castigo divino, la pigrizia o l’incuria, lì non ci interessa ascoltare o parlare. Per queste spiegazioni basta guardare le soap opera e andare sui social in cerca di conferme.
Cioè, crediamo di aver stabilito chi è il criminale, il suo modus operandi e il crimine stesso. Queste 3 caratteristiche si sintetizzano in un sistema, cioè in un modo di rapportarsi all’umanità e alla natura: il capitalismo.
Sappiamo che è un crimine in corso e che il suo perseguimento sarà disastroso per il mondo intero. Ma non è questa la conclusione che ci interessa corroborare, no.
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Perché sembra che, anche studiando e analizzando, abbiamo scoperto qualcosa che può o no essere importante. Dipende.
Supponendo che questo pianeta sarà annientato, almeno per come lo percepiamo adesso, abbiamo studiato le possibili opzioni.
Cioè, la nave affonda e lassù dicono che non succede nulla, che è qualcosa di passeggero. Sì, come quando la petroliera Prestige naufragò al largo delle coste europee (2002) – la Galizia fu la prima testimone e vittima – e le autorità imprenditoriali e governative dissero che erano state sversate solo poche gocce di carburante. Il disastro non è stato pagato né dal Boss, né dai suoi sgherri e caporali. L’hanno pagato, e continuano a pagare, gli abitanti che vivono di pesca su quelle coste. Loro e i loro discendenti.
E per «Nave» intendiamo il pianeta omogeneizzato da un sistema: il capitalismo. Certo, potranno dire che «questa non è la nostra nave», ma il naufragio in corso non è solo di un sistema, ma del mondo intero, completo, totale, anche l’angolo più remoto e isolato, e non solo dei suoi centri di Potere.
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Capiamo che qualcuno pensi, e agisca di conseguenza, che è ancora possibile rattoppare, rammendare, dipingere un po’ qua e là, rimodellare l’imbarcazione. Tenerla a galla anche vendendo la fantasia che siano possibili megaprogetti che non solo non annientano intere popolazioni, ma anche che non colpiscano la natura.
Che ci sono persone che pensano che basti essere molto determinate e darci dentro con il maquillage (almeno fino a quando non passano le elezioni). E che credono che la migliore risposta al reclamo di «Mai più» – che si ripete in tutti gli angoli del pianeta -, siano promesse e denaro, programmi politici e denaro, buone intenzioni e denaro, bandiere e denaro, fanatismo e denaro. Che credano davvero che i problemi del mondo si riducano alla mancanza di denaro.
E il denaro ha bisogno di strade, grandi progetti di civilizzazione, hotel, centri commerciali, fabbriche, banche, manodopera, consumatori, … polizie ed eserciti.
Le cosiddette «comunità rurali» sono classificate come «poco sviluppate» o «arretrate» perché la circolazione del denaro, cioè delle merci, è inesistente o molto limitata. Non importa che, ad esempio, il loro tasso di femminicidi e violenze di genere sia inferiore rispetto a quello delle città. I successi dei governi si misurano dal numero di aree distrutte e ripopolate da produttori e consumatori di merci, grazie alla ricostruzione di quel territorio. Dove prima c’era un campo di grano, una sorgente, un bosco, ora ci sono alberghi, centri commerciali, fabbriche, centrali termoelettriche, … violenza di genere, persecuzione della differenza, narcotraffico, infanticidi, tratta di esseri umani, sfruttamento, razzismo, discriminazione. In breve: c-i-v-i-l-i-z-z-a-z-i-o-n-e.
L’idea è che la popolazione contadina diventi una dipendente di questa «urbanizzazione». Continuerà a vivere, lavorare e consumare nella sua località, ma il proprietario di tutto ciò che la circonda è un conglomerato industriale-commerciale-finanziario-militare la cui sede è nel cyberspazio e per il quale quel territorio conquistato è solo un puntino sulla mappa, una percentuale di profitto, una merce. E il vero risultato sarà che la popolazione originaria dovrà migrare, perché il capitale arriverà con propri dipendenti “qualificati”. La popolazione originaria dovrà irrigare giardini e pulire parcheggi, locali e piscine dove prima c’erano campi, boschi, coste, lagune, fiumi e sorgenti.
Ciò che si nasconde è che, dietro le espansioni (“guerre di conquista”) degli Stati – siano esse interne (“incorporando più popolazione alla modernità”), sia esterne con alibi diversi (come quello del governo israeliano nella sua guerra contro la Palestina) – c’è una logica comune: la conquista di un territorio da parte della merce, cioè del denaro, cioè del capitale.
Ma capiamo che queste persone, per diventare il cassiere che amministra i pagamenti e i ricavi che danno vita alla macchina, formano partiti politici elettorali, fronti – ampi o ristretti – per disputare l’accesso al governo, alleanze e rotture «strategiche», e tutte le sfumature in cui sono impegnati lavoro e vite che, dietro piccoli successi, nascondono grandi fallimenti. Una piccola legge lì, un interlocuzione ufficiale qui, una nota giornalistica lì, un tuit qua e là, un like là, tuttavia, per fare un esempio di un crimine globale in corso, i femminicidi sono in aumento. Nel frattempo la sinistra sale e scenda, la destra sale e scende, il centro sale e scende. Come cantava l’indimenticabile malagueña Marisol, «la vita è una lotteria«: tutti (di sopra) vincono, tutti (di sotto) perdono.
Ma la «civilizzazione» è solo un fragile alibi per la distruzione brutale. Il veleno si diffonde (non più dalla Prestige – o non solo da quella nave -) e l’intero sistema sembra voler avvelenare ogni angolo del pianeta, perché distruzione e morte sono più redditizie che fermare la macchina.
Siamo sicuri che potrai aggiungere molti altri esempi. Indicatori di un incubo irrazionale, tuttavia, attivo.
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Quindi, per diversi decenni ci siamo concentrati sulla ricerca di alternative. La costruzione di zattere, cayucos, lance e anche imbarcazioni più grandi (la 6a come improbabile arca), ha un orizzonte ben definito. Da qualche parte si dovrà sbarcare.
Abbiamo letto e riletto. Abbiamo studiato e continuiamo a farlo. Abbiamo fatto analisi prima e ora. Abbiamo aperto il nostro cuore e il nostro sguardo non alle ideologie attuali o passate di moda, ma alle scienze, alle arti e alle nostre storie di popoli originari. Con queste conoscenze e strumenti, abbiamo scoperto che esiste, in questo sistema solare, un pianeta che potrebbe essere abitabile: il terzo del sistema solare e che, fino ad ora, compare nei libri scolastici e scientifici con il nome di «La Terra». Per ulteriori riferimenti, si trova tra Venere e Marte. Cioè, secondo certe culture, sta tra l’amore e la guerra.
Il problema è che questo pianeta è ormai un cumulo di macerie, veri incubi e orrori tangibili. Poco è rimasto in piedi. Anche la cortina che nasconde la catastrofe è strappata. Allora, come posso dirtelo? Il problema non è conquistare quel mondo e godere dei piaceri dei vincitori. È più complicato e richiede, sì, uno sforzo mondiale: bisogna rifarlo.
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Ora, secondo le grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane, l’uscita dalla catastrofe mondiale (sempre qualcosa di esterno – alieni, meteore, pandemie inspiegabili, zombie simili a candidati a qualche carica pubblica -) è il prodotto dell’unione di tutti i governi del mondo (guidati dai gringos)… o, peggio, dal governo degli Stati Uniti sintetizzato in un individuo, o individua (perché la macchina ha imparato che la farsa deve essere includente), che può avere le caratteristiche razziali e di genere politicamente corrette , ma che sul petto porta il marchio dell’Idra.
Ma, lungi da queste finzioni, la realtà ci mostra che tutto è business: il sistema produce la distruzione e ti vende i biglietti per fuggire da esso… nello spazio. E sicuramente, negli uffici delle grandi corporazioni, ci sono brillanti progetti di colonizzazione interstellare… con proprietà privata dei mezzi di produzione inclusa. In altre parole, il sistema viene traslato, nella sua interezza, su un altro pianeta. “All included” si riferisce a chi lavora, a chi vive sopra coloro che lavorano e al suo rapporto di sfruttamento.
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A volte non si limitano a guardare allo spazio. Il capitalismo «verde» si batte per le aree «protette» del pianeta. Bolle ecologiche dove la bestia può rifugiarsi mentre il pianeta guarisce dai morsi (il che richiederebbe solo pochi milioni di anni).
Quando la macchina parla di «un nuovo mondo» o «di umanizzazione del pianeta», pensa ai territori da conquistare, spopolare e distruggere, per poi ripopolare e ricostruire con la stessa logica che ora tiene il mondo di fronte al baratro, sempre pronta a fare il passo avanti che richiese il progresso.
Potresti pensare che non sia possibile che qualcuno sia così imbecille da distruggere la casa in cui vive. «La rana non beve tutta l’acqua della pozza in cui vive«, dice un proverbio del popolo originario Sioux. Ma se intendi applicare la logica razionale al funzionamento della macchina, non capirai (beh, nemmeno la macchina). Le valutazioni morali ed etiche non servono a niente. La logica della bestia è il profitto. Certo, ora ti chiederai come sia possibile che una macchina irrazionale, immorale e stupida governi i destini di un intero pianeta. Ah, (sospiro), è nella sua genealogia, nella sua stessa essenza.
Ma, tralasciando l’impossibile esercizio di dotare di razionalità l’irrazionale, arriverai alla conclusione che è necessario distruggere questa mostruosità che non è diabolica. Purtroppo è umana.
E, naturalmente, tu studi, leggi, confronti, analizzi e scopri che ci sono ottime proposte per uscirne. Da quelle che propongono trucco e parrucco, a quelle che consigliano lezioni di morale e logica per la bestia, passando per nuovi o vecchi sistemi.
Sì, ti capiamo, la vita fa schifo ed è sempre possibile rifugiarsi in quel cinismo così sopravvalutato sui social network. Diceva il compianto SupMarco: «la cosa brutta non è che la vita fa schifo, ma che ti costringano a mangiarla e si aspettano pure che tu l’apprezzi«.
Ma supponi di no, che tu sappia che, in effetti, la vita fa schifo, ma la tua reazione non sia quella di chiuderti in te stesso (o nel tuo «mondo», che dipende dal numero dei tuoi «follower» sui social network di adesso e a venire). E poi decidi di abbracciare, con fede, speranza e carità, alcune delle opzioni che ti vengono presentate. E scegli la migliore, la più grande, la più famosa, quella vincente… o quella che ti è vicina.
Grandi progetti di nuovi e vecchi sistemi politici. Ritardi impossibili dell’orologio della storia. Nazionalismi sciovinisti. Futuri condivisi in forza di tale opzione che prende il Potere e ci rimane fino a quando tutto non sarà risolto. Il tuo rubinetto perde? Vota per tizio. Schiamazzi nel quartiere? Vota per caio. Il costo dei trasporti, del cibo, delle medicine, dell’energia, delle scuole, dell’abbigliamento, dell’intrattenimento, della cultura è aumentato? Hai paura dell’immigrazione? Ti senti a disagio con persone dalla pelle scura, credi diversi, lingue incomprensibili, stature e carnagioni diverse? Vota per…
C’è anche chi non si discosta dall’obiettivo, ma dal metodo. E poi ripete da sopra ciò che criticava da sotto. Con disgustosi contorsionismi e argomentando strategie geopolitiche, si appoggia a chi si ripete nel crimine e nella stupidità. Si chiede che i popoli sopportino le oppressioni a beneficio della «correlazione internazionale di forze e l’ascesa della sinistra nell’area». Ma il Nicaragua non è Ortega-Murillo e la bestia non ci metterà molto a capirlo.
In tutte queste grandi offerte di soluzioni nel mortale supermercato del sistema, molte volte non si dice che si tratta della brutale imposizione di un’egemonia, e di un decreto di persecuzione e morte a ciò che non è omogeneo al vincitore.
I governi governano per i loro seguaci, mai per quelli che non lo sono. Le star dei social network alimentano i loro seguaci, anche a costo di sacrificare l’intelligenza e la vergogna. E il «politicamente corretto» ingoia rospi, dopo aver divorato chi consiglia la rassegnazione «per non beneficiare il nemico principale».
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Lo zapatismo è la grande risposta, un’altra, ai problemi del mondo?
No. Lo zapatismo è tante domande. E la più piccola può essere la più inquietante: E tu, che fai?
Di fronte alla catastrofe capitalista, lo zapatismo propone un vecchio-nuovo sistema sociale idilliaco e con esso ripete le imposizioni di egemonie ed omogeneità ora «buone»?
No. Il nostro pensiero è piccolo come noi: sono gli sforzi di ciascuno, nella sua geografia, secondo il suo calendario e i suoi modi, che consentiranno, forse, di liquidare il criminale e, contemporaneamente, rifare tutto. E tutto vuol dire tutto.
Ognuno, secondo il proprio calendario, la propria geografia, la propria strada, dovrà costruire il proprio percorso. E, come noi popoli zapatisti, inciamperà e si rialzerà, e ciò che costruirà avrà il nome che avrà voglia di avere. Sarà solo diverso e migliore di ciò che abbiamo subito prima, e di ciò che patiamo attualmente, se riconosce l’altro e lo rispetta, se rinuncia a imporre il suo pensiero sul diverso e se finalmente si rende conto che ci sono molti mondi e che la loro ricchezza nasce e risplende nella loro differenza.
È possibile? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, per scoprirlo, si deve lottare per la Vita.
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Allora, cosa veniamo a fare in questo Viaggio per la Vita se non aspiriamo a dettare strade, rotte, destinazioni? Cosa, se non cerchiamo adesioni, voti, likes? Cosa, se non andiamo a giudicare e condannare o assolvere? Cosa, se non invitiamo al fanatismo per un nuovo-vecchio credo? Cosa, se non vogliamo passare alla Storia e occupare una nicchia nel pantheon ammuffito dello spettro politico?
Ebbene, ad essere onesti in quanto zapatisti: non solo verremo a confrontare le nostre analisi e conclusioni con l’altro che lotta e pensa criticamente.
Veniamo a ringraziare l’altro per la sua esistenza. Ringraziare per gli insegnamenti che ci hanno dato la sua ribellione e resistenza. Veniamo a consegnare il fiore promesso. Abbracciare l’altro e gli diremo all’orecchio che non è solo, sola, soloa. Veniamo a sussurrargli che valgono la pena la resistenza, la lotta, il dolore per chi non c’è più, la rabbia per il criminale impunito, il sogno di un mondo non perfetto, ma migliore: un mondo senza paura.
E anche, e soprattutto, veniamo a cercare complicità… per la vita.
SupGaleano
Giugno 2021, Pianeta Terra
Culurgiones Rebeldes! Piccolo resoconto del Laboratorio
Venerdì 11 si è svolto il primo laboratorio per finanziare la Gira zapatista, organizzato dal territorio di Sassari. L’idea che ci ha mossə è stata quella di sensibilizzare alle tematiche dello zapatismo, attraverso attività che avrebbero dato impulso e linfa all’autogoverno locale, alla riappropriazione dei saper fare tradizionali, al sostegno e valorizzazione delle filiere locali lontane dalla logica coloniale e capitalista, alla messa in rete di individualità e gruppi, per la ritessitura del nostro territorio in lotta.
Abbiamo optato, grazie alla disponibilità e alla generosità di una compagna e un compagno che hanno tra le mani questo sapere antico e moderno allo stesso tempo, di fare un laboratorio di una delle paste più deliziose e straordinarie della nostra isola: i culurgiones. La ricetta usata è quella di Villagrande strisaili, le materie prime con cui abbiamo fatto impasto e ripieno sono frutto di filiera corta, il rimacinato di semola di grano duro Khorosan è stato offerto in sottoscrizione dall’Azienza Le orme del vento di Nulvi, il formaggio e le patate di Villagrande, l’olio buono autoprodotto nel circondario portato dalle nostre case, filiere lontane dalla logica delle erogazioni, delle quote latte, dello sfruttamento del territorio e delle genti. La nostra maestra è stata talmente brava che quasi tuttə i partecipartə hanno appreso la mistica tecnica della chiusura a spiga, realizzando, tutti insieme 500 culurgiones, come gli anni della colonizzazione spagnola del Messico, che lə compas dal Chiapas vogliono ricordare con la Gira zapatista, ribaltandone i contenuti.
Questo venerdì è stata una bellissima festa di quartiere, un incontro di grande valore umano, comassende tottu impare (impastando tutt insieme), con la gioia che deriva dal sudare e lavorare, per ottenere un obiettivo condiviso. Abbiamo anche attivato il banchetto di autofinanziamento, con libri e cd donati dalle compagnə attivə nel coordinamento, e il Caffè Rebelde, offertoci da Ya basta, per sostenere l’autofinanziamento e le attività delle macroaree aderenti a Lapaz. Potete contattarci quando volete per visionare i materiali e sottoscrivere le attività di supporto alla Gira zapatista.
L’invito è rinnovato al prossimo incontro territoriale dell’aree sassarese, che comunicheremo a breve, e per ora ci vediamo a Bauladu, sabato 19 giugno, per l’assemblea di Coordinamento!
Vi alleghiamo qualche altra foto della giornata, e il video della chiusura dsi culurgiones!